La nobiltà celata della Tête de Moine

È proprio vero che non si finisce mai di imparare. Soprattutto quando non te lo aspetti. E la nostra visita alla zona di produzione della Tête de Moine non era – perché probabilmente condizionati da luoghi comuni – tra quelle con più aspettative. Ci sbagliavamo di grosso.

In una limpida giornata di sole arriviamo nel monastero di Bellelay – in Svizzera – dove la storia della Tête de Moine ebbe inizio 800 anni fa. Siamo in uno scrigno verde, al confine tra Jura e Jura bernese.

Il monastero è magnifico e maestoso ma purtroppo i tempi stringono e dopo averlo ammirato solo dall’esterno (ripromettendoci di tornare presto), veniamo accompagnati al vicino Museo della Tête de Moine.

Il Museo non è molto grande ma si rivela essere un’ottima introduzione alla storia e alla tradizione ultracentenaria di questo formaggio che – se fosse una persona – potremmo definire come modesta e riservata.

Sarà per le sue dimensioni ridotte, sarà per questa storia della girolle (inventata solo nel 1981, prima si raspava col coltello) e dei “fiorellini” che se ne ricavano, ma la Tête de Moine ci ha sempre dato l’impressione di non esser all’altezza di formaggi molto più nobili e sontuosi – all’aspetto – di lei. Ci sbagliavamo ancora una volta.

La nobiltà della Tête de Moine non sta solo nella sua storia ricca di otto secoli, bensì anche nel procedimento di produzione, ancora oggi fedelmente rispettato dai produttori di latte, dai casari artigianali (sono solo 7) e dagli affinatori che la producono. Certo, la moderna tecnologia facilita oggigiorno il lavoro degli artigiani, ma le fasi di produzione sono rimaste le stesse e soprattutto oggi come allora vi è una estrema – quasi maniacale – attenzione per la qualità. A partire dall’alimentazione delle mucche naturalmente: il disciplinare della Dop infatti impone che queste siano portate al pascolo (tra i 700 e i 1300 metri slm) dalla primavera all’autunno, mentre in inverno si nutrono esclusivamente del fieno proveniente dagli stessi pascoli dove hanno trascorso l’estate.

Sono proprio le erbe ricche ed aromatiche che donano alla Tête de Moine quel suo gusto unico e facilmente riconoscibile. Inoltre la biodiversità botanica dei pascoli rende i suoi grassi ricchi di omega-3, che come tutti sanno sono indispensabili per la nostra salute.

La Dop (ottenuta nel 2001) prevede che debba essere garantito il benessere animale e vieta severamente l’uso di qualsiasi sostanza chimica. Insomma, solo il latte di altissima qualità – che viene sottoposto a rigorosi controlli – può essere usato per la produzione della Tête de Moine Dop.

Dal Museo ci trasferiamo quindi in uno dei 7 piccoli caseifici di produzione della Tête de Moine.

Qui un giovane casaro (che rappresenta la quarta generazione di casari della sua famiglia) ci spiega che il latte deve essere lavorato a crudo entro le 24 ore dal conferimento in caseificio. La fase di lavorazione più interessante (dopo la cagliata e la rottura della cagliata) è quella in cui vengono ottenute le piccole forme cilindriche. Di fatto la cagliata viene prima trasferita – con l’ausilio di pompe – dalla caldaia polivalente agli stampi del Gruyère (tutti i caseifici producono anche Gruyère, oltre che Tête de Moine). Qui vengono pressati e rivoltati, quindi la cagliata pressata e sgrondata del siero viene tagliata meccanicamente in pezzi (da ogni stampo di Gruyère si ricavano 35 Tête de Moine) che vengono trasferiti manualmente in piccoli stampi cilindrici, dove vi rimangono per 24 ore.

Trascorso questo tempo le ancora fragili Tête de Moine (con la loro bella placca di caseina sopra) vengono tolte dagli stampi e messe in salamoia per circa 22 ore.

Le Tête de Moine con la loro classica forma di botticella sono quindi pronte per andare in cella di stagionatura, dove subiranno ben 30 trattamenti (girate e spazzolate con acqua e sale e poi solo con acqua) durante i loro 75 giorni di maturazione. Giustamente orgoglioso, il giovane casaro ci rivela che il suo è l’unico caseificio in cui questa fase di spazzolatura avviene ancora manualmente.

Anche le assi di abete rosso dove le forme sono appoggiate per la maturazione vengono cambiate due volte nell’arco di questo periodo (ne avevamo notate centinaia accatastate proprio all’ingresso del caseificio).

Esistono tre diverse tipologie di Tête de Moine:

  • La Classica (minimo 75 giorni di stagionatura)
  • La Riserva (minimo 4 mesi di stagionatura)
  • La Bio

Prima di essere immesse in commercio (il 65% della produzione globale della Tête de Moine va all’estero), tutti i lotti vengono controllati da una commissione indipendente che ne verifica dapprima l’aspetto esteriore, quindi l’elasticità della pasta, l’assenza di buchi e il sapore. Infine c’è la prova sulla girolle: se il formaggio passa anche questa allora può senz’altro esser immesso nel mercato.

L’invenzione della girolle, ci spiegano, ha di fatto semplificato il servizio della Tête de Moine: prima infatti veniva raspata con il coltello (ed è interessante scoprire che non si è mai mangiata a fette o a tocchetti). Il segreto per la buona riuscita di un “fiore” di Tête de Moine sta tutto nella temperatura del formaggio, che deve esser ben freddo. Inoltre è importante non premere troppo quando si raspa, in modo da ottenere un “fiore” lieve e delicato che rilascerà, a contatto con l’aria, tutti gli aromi contenuti in questo nobile formaggio dal fascino discreto.

Il nostro viaggio si conclude con l’assaggio – ça va sans dire – ed è come se la degustassimo per la prima volta: la piccola e fragile Tête de Moine si rivela a noi orgogliosamente in tutta la sua grandezza, con la sua storia, i suoi paesaggi, i suoi uomini.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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