Il Cheddar
Chi è stato in Inghilterra negli anni ’80-’90 ha sicuramente il ricordo del Cheddar come di un formaggio gommoso e dal sapore anonimo.
Questo perché in Gran Bretagna la tradizione del fare formaggio artigianale – nel secolo scorso – era andata quasi del tutto perduta e gli unici formaggi che si trovavano nei negozi e nei supermercati erano formaggi industriali, tutti più o meno con lo stesso sapore e la stessa consistenza.
Oggi per fortuna non è più così e gli ultimi 20-30 anni sono stati testimoni di una crescita davvero importante della produzione di formaggio artigianale nel Regno Unito.
Sebbene sia uno dei formaggi inglese più noti e più consumati nel mondo, le sue origini sono incerte e non esiste una ricetta codificata alla quale ci si debba attenere per la sua produzione.
Le origini del Cheddar sono probabilmente da ricercare nell’omonimo paese del Somerset, nel sud-ovest dell’Inghilterra. Col tempo però la sua produzione si è estesa anche ad altre contee inglesi e persino negli Stati Uniti, in Canada e in Australia. Si è infatti dimostrato essere uno degli stili di formaggio più adattabili, venendo prodotto in molti modi diversi e “sotto diversi cieli”. Infatti – curiosamente – mentre nel secolo scorso sono emerse molte metodologie diverse di produzione di Cheddar, non è mai stata codificata un’unica ricetta per il Cheddar così come la sua produzione non è mai stata regolarizzata.
Nel 1891, lo scienziato F.J. Lloyd identificò quattro sistemi principali di produzione del Cheddar, tutti significativamente diversi tra loro per ricetta e metodo di maturazione. Lloyd fu molto sorpreso di scoprire come metodi apparentemente così diversi tra di loro potessero condurre a risultati così simili e la conclusione che ne trasse fu che la produzione del Cheddar doveva (e deve tuttora) adattarsi all’ambiente e al clima nel quale avviene. Ancora oggi, il Cheddar che viene prodotto può tracciare le sue origine a uno o l’altro di questi quattro metodi.
Ma come viene prodotto il Cheddar artigianale? Si tratta di un procedimento lungo, dove il lavoro manuale dell’uomo è davvero tanto. Il latte vaccino – posto nelle vasche – viene prima acidificato con l’aggiunta di una cultura starter, quindi si aggiunge il caglio e – quando la cagliata è pronta – questa viene rotta e quindi il siero viene fatto scolare in modo tale che nella vasca rimanga solo la cagliata. Qui inizia il processo di “cheddaring”, ovvero i “cheesemongers” tagliano la cagliata in larghe strisce che poi rivoltano più volte e “impacchettano” in modo tale da eliminare il più possibile del siero rimasto. Ovviamente questo è un lavoro che richiede grande forza fisica!
Una volta che la cagliata è stata “cheddarizzata” alla perfezione, viene macinata finemente per dare al formaggio una struttura uniforme e quindi salata. Infine la cagliata viene posta dentro a forme ricoperte di tela di mussola e pressata per eliminare anche gli ultimi residui di siero. Infine le forme di Cheddar verranno lasciate maturare, da un minimo di 6 mesi a un massimo di 2 anni, su assi di legno.
La crosta, muffita, è di colore grigio, mentre la pasta è bianca e avoriata e assume una colorazione più intensa con la stagionatura. Il gusto è dolce e burroso, caratteristico, sempre più lungo e complesso con il passare del tempo.
Insomma, possiamo tirare un sospiro di sollievo e affermare con certezza che i tempi dei Cheddar insapori degli anni ’90 sono finalmente solo un brutto ricordo.
Se volete vedere con i vostri occhi quanto lavoro manuale richiede la cheddarizzazione, qui il link a un interessante video: