La transumanza, quella vera

Per celebrare – anche simbolicamente – la fine della stagione estiva, quest’anno abbiamo deciso di prendere parte ad una transumanza.

Il passaggio dall’estate all’autunno in montagna è infatti segnato anche da questa tradizionale pratica, ovvero la migrazione stagionale di gregge e bestiame dai pascoli di alta quota alle stalle nel fondovalle o nei paesi a qualche centinaio di metri più a valle.

È una tradizione che in tutta Italia si perpetua da migliaia di anni e si sviluppa attraverso i “tratturi”, sentieri che da secoli testimoniano il rapporto tra l’uomo e la natura. Un rapporto rispettoso, nel caso della transumanza, tanto da farle valere – nel 2019 – l’iscrizione nella Lista del Patrimonio Culturale Immateriale. La candidatura era stata presentata da Italia, Austria e Grecia e l’UNESCO ne ha riconosciuto l’inestimabile importanza sottolineando come la transumanza sia una pratica rispettosa del benessere animale e dei ritmi stagionali; inoltre ha considerato come essa abbia non solo un valore naturalistico – contribuendo a modellare il paesaggio – ma anche un valore culturale, dando origine a relazioni tra comunità, animali ed ecosistemi e a riti, feste e pratiche sociali che caratterizzano l’inizio dell’estate e dell’autunno.

Per vivere da vicino tutto questo, abbiamo accolto con piacere l’invito di un caro amico e ci siamo recati alla Malga Campetti, a circa 1350 m d’altitudine, sull’Altipiano di Asiago: una piccola malga, la più isolata tra gli alpeggi di Enego, raggiungibile solo percorrendo un lungo tratto di strada stretta (e piuttosto scoscesa) attraverso i boschi di Cima Chempele.

Di transumanze ne esistono di molti tipi – lunghe, più brevi, organizzate e pubblicizzate, affollate di turisti o curiosi – noi abbiamo avuto la fortuna di partecipare a un evento autentico, intimo e – proprio per questo – memorabile.

L’appuntamento è per le 8:30 in malga, dove ad attenderci ci sono Domenico, il malgaro, con i suoi tre giovanissimi figli –  Maria, Teresa e Francesco –, un ridottissimo numero di amici e… due bottiglie di Prosecco! Domenico ci racconta che gli ultimi giorni in malga sono stati molto difficili, perché le vacche sentono che la stagione estiva è finita e scalpitano per scendere in stalla.

La partenza non è immediata, ma il clima è molto rilassato: si chiacchiera, si chiudono gli scuri della malga, si mette il guinzaglio ad un paio di capre (sono sei in tutto, di razza Passiria), si controlla di aver preso tutto (gatti, anatre, galline e i due pastori maremmani – fondamentali per difendere gli animali dai lupi – sono già stati portati a valle qualche nei giorni precedenti).

 

La partenza da Malga Campetti – Enego

Quando finalmente Domenico apre il recinto dove le vacche stanno pascolando e gli animali – al suono dei loro campanacci e della voce di Domenico stesso che ci indica dove posizionarci per evitare che la mandria prenda una direzione sbagliata – si incamminano “verso casa”, ci rendiamo conto di assistere a un momento davvero emozionante, atteso ed ancestrale.

La marcia procede senza intoppi, dettata dal passo delle vacche, a momenti lento e distratto, altri invece più rapido e spedito, quasi una corsa. Ogni membro della famiglia ha un compito ben preciso: Maria si occupa delle capre, Teresa segue amorevolmente le due vitelline alla loro prima transumanza, Francesco è alla guida e Domenico sovrintende tutto e tutti.

Dapprima si passa – costantemente cullati dal suono dei campanacci – attraverso una strada forestale nel bosco, poi per un breve tratturo in discesa lungo un ampio pascolo dal quale – nonostante la giornata un po’ nuvolosa – si gode di un panorama mozzafiato – e infine attraverso le case del paese di Stoner, dove gli abitanti salutano e riprendono con il cellulare il festoso passaggio di animali e uomini.

 

 

 

Dopo circa due ore di cammino giungiamo quindi a destinazione, nel piccolo borgo di Godeluna, a circa 800 m d’altitudine: è qui che gli animali trascorreranno l’inverno e la primavera, in attesa della prossima transumanza per risalire in malga a giugno.

Valore naturalistico, si diceva, ma anche valore culturale e sociale, perché in giornate intense come queste non sono solo gli animali a beneficiarne, ma anche gli uomini, grazie a quel senso di appartenenza al mondo naturale – troppo spesso sopito – che viene ridestato e che rappresenta una vitale fonte di energia. Ma anche appartenenza a una mondo di uomini fatto di cose semplici, come una camminata in compagnia e un raduno attorno a un tavolo imbandito per brindare al buon esito del rientro degli animali e alla fine della stagione estiva.

 

 

 

 

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