Il Platò “Il latte dei Pascoli”

Durante la tarda primavera e l’estate gli allevatori che possono permetterselo e che apprezzano il valore del pascolo, fanno uscire dalle stalle i loro animali. Spesso si tratta di trasferirli al pascolo d’alpeggio, oppure, semplicemente di liberarli nei prati attorno alla fattoria. In entrambi i casi la scommessa è quella di trasferire nel latte il buonumore degli animali, liberi appunto di scorazzare all’aria aperta, e i profumi delle essenze fresche e colorate di cui si alimentano; d’altra parte questo regime stagionale comporta una minore produzione di latte, e talvolta il rischio che l’alimentazione non controllata comporti una non omogenea e standardizzata qualità del latte. Quest’ultimo aspetto, che potrebbe apparire negativo, è invece un grande valore aggiunto, perché con un latte non standardizzato si producono ottimi formaggi, ma ogni giorno diversi. È questo il fil rouge che lega tra loro i formaggi protagonisti di questo platò.

Il platò “Il latte dei pascoli” inizia in Piemonte con il Raschera, che deve il suo nome all’omonimo lago ai piedi del Monte Mongioie. Si tratta di un formaggio pressato, semigrasso, dal sapore leggero, un po’ piccante e sapido se stagionato. Può fregiarsi dell’appellativo “di alpeggio” solo se prodotto a una quota superiore ai 900 metri.

Sempre in Piemonte incontriamo un formaggio dal sapore dolce, delicato, leggermente acidulo, ma decisamente avvolgente: la Robiola Tre Latti. Prodotta nelle Langhe con latte di vacca, capra e pecora in proporzioni variabili a seconda delle stagioni: d’inverno è maggiore la percentuale di latte vaccino, mentre in primavera e in estate a prevalere sono il latte ovino e caprino.

Spostandoci in Veneto, ritroviamo il Fienato: originale formaggio caprino a cagliata lattica e a latte crudo. Dopo un breve periodo di asciugatura e stagionatura, tale specialità viene fatta affinare in fieno d’alta montagna, profumatissimo e ricco di essenze aromatiche e floreali.

La buccia del formaggio, cosparsa leggermente da polvere di carbone vegetale, è edibile e protegge una pasta bianchissima che con la maturazione tenderà progressivamente a cremificare, mutando le sensazioni acidule tipiche dei formaggi di capra, in note decisamente lattiche e dolci.

Dai pascoli del Veneto ci dirigiamo in Puglia, per apprezzare il Caciocavallo stagionato in grotta. Questa specialità, di produzione biologica, necessita di almeno 8 mesi di stagionatura per sprigionare il suo gusto aromatico, piccante e fondente in bocca. Si distingue per la pasta omogenea e compatta di colore giallo paglierino intenso.

Prodotto tipico della Sicilia centro-meridionale, la Tuma Persa ha sapore dolce-piccante, con sentori di grotta e di pascolo e con sfumature spesso vagamente erborinate dovute all’infiltrazione di muffe naturali all’interno delle forme che stagionano lungamente in grotte di tufo. La sua crosta, in origine giallo ocra, viene cappata con olio e pepe che le conferiscono la caratteristica brunitura.

Concludiamo il nostro viaggio tra i pascoli italiani con il Pecorino stagionato in grotta. Questo gioiello caseario viene riposto dentro sacchi di tela, nelle fosse di Roncofreddo, piccolo borgo delle colline riminesi, che può vantare una lunga tradizione nell’affinatura del formaggio. Terminato il periodo di stagionatura, della durata di almeno 4 mesi, il risultato è un formaggio ricco di aromi terrosi e di sottobosco, dal sapore delicato, quasi dolce all’inizio, ma poi sempre più piccante, con un retrogusto amaro e persistente. Ottimo con il miele di castagno, l’uva e le noci, da accompagnare a un vino rosso strutturato.

 

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