Invisibili ma indispensabili: i fermenti lattici
Un aspetto del mondo caseario di cui si non si parla spesso è la presenza dei microrganismi: il formaggio infatti (come il latte) è vivo.
La leggenda narra che per risalire alla nascita del formaggio dobbiamo andare indietro di oltre 8000 anni, in Medio Oriente, un viaggio sicuramente molto lungo, sia in termini temporali che geografici, e ricco di sorprese e curiosità.
La cosa certa è che – come il latte – il formaggio è vivo e in quanto tale i microrganismi che lo popolano sono i veri protagonisti, insieme ad altri pochi ingredienti, della trasformazione (del miracolo? Direbbero i bambini) del latte in cagliata, e quindi in formaggio.
Dunque, dicevamo: gli ingredienti del formaggio. Sicuramente i principali sono il latte, il caglio (che serve per la coagulazione del latte, che da liquido diventa quindi “solido”) e il sale, assolutamente non trascurabile nella sua funzione non solo di esaltazione del gusto, ma anche di equilibrio rispetto alla materia grassa del latte e all’evoluzione del formaggio stesso durante la stagionatura.
Ma non dimentichiamo i fermenti lattici, cioè quei microrganismi che “aiutano” il latte, soprattutto nella prima fase di trasformazione, a raggiungere la corretta acidificazione prima della coagulazione. Senza voler entrare nel merito della differenza tra formaggi a latte crudo e/o pastorizzato, va però ricordato che quando una trasformazione casearia applica la pastorizzazione del latte (o termizzazione), sicuramente la maggior parte dei batteri “dannosi” viene eliminata, ma con loro anche quelli utili. Il rischio è cioè che il latte sia “troppo pulito” e per ricreare le condizioni di vitalità di partenza bisogna aggiungere appunto i fermenti, definiti anche “innesti” quando sono naturali. Insomma, senza i microrganismi (naturali e “autoctoni” del latte o aggiunti se il latte è troppo pulito) il formaggio non si fa….
Ci sono numerose famiglie/specie di fermenti lattici che intervengono nelle trasformazioni casearie (autoctoni, quali sieroinnesti e lattoinnesti e/o aggiunti al latte, a seconda delle tipologie di formaggio), classificabili in base alle loro funzioni, in particolare la temperatura di incubazione: dai termofili che crescono a 42°C (Streptococcus thermophilus, con o senza presenza di lattobacilli, ad es. Lactobacillus delbrueckiie Lactobacillus helveticus, conosciuti anche come i fermenti dello yogurt quando abbinati), ai mesofili che sviluppano e producono acido lattico a circa 30°C (le specie più utilizzate sono Lactococcus lactis subsp. lactis, L. lactis subsp. lactis biovar. diacetylactis, L. lactis subsp. cremoris, Leuconostoc mesenteroides subsp. cremoris e Leuc. Lactis), ai propionici (nei formaggi con l’occhiatura, o cosidetti “buchi”) ai butirrici (prevalentemente presenti nel burro).
Riassumendo in maniera generale possiamo quindi dire che i fermenti mesofili sono indicati per produrre formaggi duri, semiduri e morbidi o freschi (ad esempio, il Quark, il Manchego, l’Edam, le creme acide, senza dimenticare il burro); i fermenti termofili coprono dalle paste filate (come ad esempio la mozzarella, la scamorza e il provolone) ai formaggi semi duri e duri (ad esempio l’Asiago, il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano), nonché i formaggi freschi (quali la Crescenza, lo Squacquerone, la Casatella…).
Naturalmente ogni fermento ha delle caratteristiche che si adattano alle diverse tecnologie di trasformazione e caseificazione, rendendo ogni singolo formaggio unico e inimitabile!
Il tema è comunque vasto e complesso e meriterà futuri approfondimenti monografici, soprattutto quando torneremo invece a parlare di formaggi a latte crudo.