Il Bettelmatt: l’alpeggio estremo
Il ciclo dell’alpeggio del Bettelmatt si ripete da secoli, da quando i Walser si trasferirono dall’Alto Vallese nelle Valli Ossolane portando con sé i segreti delle loro tecniche casearie.
La tradizione del formaggio Bettelmatt appartiene ai loro discendenti e rivive ogni anno, per circa 60 giorni, nelle valli Antigorio e Formazza in provincia di Verbania. Qui la monticazione (cioè il pascolo del bestiame in montagna) avviene più tardi rispetto a tutto l’arco alpino: comincia nella prima decade di luglio e già a fine agosto è ora di riportare a valle le mandrie. Siamo oltre i 2000 metri e, a volte, nevica anche in questa stagione.
E noi, a metà agosto, abbiamo voluto andare a vedere di persona questo alpeggio estremo del Bettelmatt. Abbiamo sperimentato l’altitudine a piedi, rifiutando orgogliosamente, salvo poi pentirci, il passaggio con i fuoristrada. Siamo partiti da Riale, in Val Formazza, e abbiamo pernottato al Rifugio Maria Luisa (2.157 mt.) per poi raggiungere l’Alpe Toggia di primo mattino, giusto in tempo per vedere la fine della mungitura e seguire la lavorazione del Bettelmatt. Solo così si può apprezzare sino in fondo il duro lavoro dei malgari, la semplicità di gesti antichi derivanti da una cultura a rischio di estinzione; lavoro, competenza e ambiente sono l’essenza straordinaria e unica di questo formaggio. Grazie ai malgari possiamo ritrovare nel Bettelmatt la natura incontaminata, i profumi dell’erba e la purezza dell’aria di questa valle.
Assistiamo affascinati alla lavorazione del Bettelmatt. Il latte appena munto e solamente filtrato passa dalla stalla alle caldaie di rame già sul fuoco. È latte crudo, si scalda appena a 38°, poi si aggiunge il caglio liquido di vitello. Franco, il malgaro, ora spegne il fuoco e lascia rapprendere il latte. È un’attesa in cui non ci si annoia, ci sono le forme della sera prima di cui occuparsi… Ogni tanto prova a saggiare la consistenza della cagliata, e si chiacchiera un po’. Quando il latte raggiunge la consistenza di un budino il malgaro si arma di lira e comincia delicatamente a rompere la cagliata, con gesti attenti e misurati la riduce in pochi minuti alle dimensioni di un chicco di riso. Ora riattizza il fuoco: la cagliata verrà riscaldata per una semicottura a 45°. Anche per questa operazione ci vuole del tempo e la mano sapiente di Franco che mescola continuamente la cagliata.
Il tempo del Bettelmatt ha una dimensione particolare. Il termometro, il generatore di corrente per le mungitrici, il gas che ha sostituito la legna, sono gli unici strumenti moderni in questo rituale antico: la trasformazione del latte fresco nel formaggio che sarà la riserva per il prossimo inverno. Mentre il casaro è perso nei suoi pensieri, la cagliata cuoce lentamente, sempre rimestata. Alla fine spegne il fuoco e la lascia depositare sul fondo della caldaia. Anche ora non c’è sosta perché a fianco della prima c’è la seconda caldaia nella quale l’operazione si ripete. Appena la temperatura lo consente Franco immerge le braccia nella massa calda, raccoglie con le mani la cagliata e la solleva facendola emergere lentamente: ora la taglia con le dita e infine, con un gesto quasi atletico e la serietà di un officiante, la trasferisce nelle fascere dove viene pressata a mano e fatta sgrondare dal siero. Dopo la sgrondatura le forme saranno poste in una pressa meccanica fino al giorno seguente. Qui all’Alpe Toggia col siero che rimane in caldaia si preferisce produrre per centrifugazione e zangolatura un buon burro, alla cui purezza concorre l’acqua della fonte alpina nella quale viene lavato; altrove col siero riscaldato si produce invece la ricotta.
Sono passate quattro ore dalla fine della mungitura quando il casaro lascia alle cure del suo assistente la seconda caldaia e le forme di Bettelmatt del giorno prima sono caricate sul fuoristrada che le porterà nella cantina dove vengono salate a secco, manualmente, e rigirate ogni giorno per almeno due mesi prima della marchiatura. È già tempo di risalire in malga per la mungitura serale, per la seconda produzione, per arrivare a lavare le caldaie alle dieci di sera, per il giorno dopo… Dopo aver lasciato Franco alle prese col saliscendi a valle siamo ripartiti per visitare l’Alpe Devero, un altro posto incantevole, dove Adolfo e la sua famiglia gestiscono un agriturismo adiacente alla cantina di stagionatura del Bettelmatt che producono all’Alpe Sangiatto.
Alpeggio e latte crudo? Viene da chiedersi se ne vale la pena, viene da chiedersi se chi si impegna tutto l’anno in un lavoro duro nella sua ripetitività, con le ulteriori difficoltà dell’alpeggio, seppure solo per un paio di mesi, non faccia un sacrificio inutile. Abbiamo assaggiato un Bettelmatt giovane, della prima settimana di produzione, e abbiamo convenuto che ne vale la pena. Chi va in alpe, mentre gli altri restano a valle per la fienagione, è un personaggio carismatico nella comunità; in inverno un assaggio di Bettelmatt lo ricorderà a tutti, perché il frutto del suo lavoro è un concerto di profumi e sapori, soprattutto perché è la prova che in lui sopravvivono le tradizioni di un sapere antico che merita ancora di essere tramandato, perpetuando il ciclo dell’alpeggio “estremo”.