Elogio dei formaggi a latte crudo (e del benessere animale)

Il latte crudo è il latte originario, appena munto, non pastorizzato.

Si è imparato a conoscere questa dicitura solo negli ultimi anni con la comparsa dei distributori automatici di latte e su questo tema, navigando sul web, fautori e detrattori riempiono innumerevoli pagine di discussioni infinite. Ma nella maggior parte dei casi si discute di latte e non di formaggio. Inutile quindi ripercorrere o ribadire le diverse posizioni in merito alle proprietà salutistiche o ai pericoli del latte crudo quale alimento da bere. A noi interessa perorare la causa del latte crudo nella produzione del formaggio.

Produrre formaggi a latte crudo significa parlare di formaggio di qualità. Il latte crudo infatti è un prodotto che fa sintesi della qualità organolettica, etica ed economica dell’allevare animali lattiferi per la produzione del formaggio.

Produrre formaggi a latte crudo è duro lavoro. Significa garantire innanzitutto il benessere animale: un concetto quest’ultimo che – per fortuna – si sta diffondendo sempre più (all’estero ma anche qui in Italia) e che noi, nel nostro piccolo, sosteniamo sia il futuro verso cui tendere. Un animale ben allevato e non sottoposto a stress è garanzia di un latte qualitativamente migliore (esattamente come accade nelle donne che allattano, la cui alimentazione e benessere emotivo si ripercuotono sulla qualità del latte col quale nutrono i propri figli). Un latte che trasferirà poi nel formaggio il territorio, la razza, le stagioni, l’alimentazione, il lavoro dell’uomo. In una parola, come si direbbe nel mondo del vino, il terroir.

Nel momento in cui si preferisce sterilizzare il latte (pastorizzazione) tutto si semplifica, i profili aromatici originari si appiattiscono, il latte si standardizza e poi sta a chi produce il formaggio dare una certa originalità al prodotto reinserendo nel latte, tramite fermenti e innesti, quei profili organolettici appena azzerati con la pastorizzazione.

Lavorare a latte crudo non è semplice. Questa scelta implica allevare i propri animali con grande cura – non solo nell’alimentarli e curarli – ma soprattutto nel farli sentire bene; significa tenerli sani in tutti i sensi, mantenere stalle e sale di mungitura igienicamente perfetti e lavorare il latte tutti i santi giorni. Significa soprattutto rischiare che poi i controlli sanitari sul prodotto (che ci sono e sono accuratissimi) blocchino la produzione perché magari rilevano anomalie o contaminazioni ed è proprio per questo che allevatore/produttore eseguono – nell’arco di tutta la filiera produttiva – controlli accurati e costanti, che possono anche andare ben oltre i controlli della filiera produttiva del latte pastorizzato.

Dall’altra parte è tutto molto più facile: una volta munto, il latte viene pastorizzato, standardizzato e solo in seguito, “ricostruito” e lavorato.

Non è poi un caso se il latte crudo viene quotato maggiormente sul mercato: ha un valore superiore al latte pastorizzato perché ha una qualità intrinseca maggiore e oggettiva. Qualità che ritroveremo poi nel formaggio.

Detto ciò, visto che i demonizzatori del latte crudo sono proprio molti, e agguerriti, vale la pena di ricordare che molti formaggi a denominazione di origine controllata (DOP) sono da sempre, e in tal senso certificati a livello europeo, prodotti a latte crudo. Qualche esempio? Il Bitto, il Provolone del Monaco, la Robiola di Roccaverano, e molti molti altri. E allora dove sta il problema? Sta nel fatto che come spesso accade le ragioni economiche sovrastano quelle della conoscenza e della qualità.

Produrre a latte crudo significa riconoscere all’allevatore e al produttore un maggior valore economico che il mercato non sempre accetta ben volentieri.

Sta a noi consumatori saper riconoscere la qualità di un prodotto a latte crudo e difenderne i valori più nobili, etici ed economici prima ancora che puramente qualitativi.

 

 

 

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