Stutz&Pfister, ovvero una robiola e due svizzeri
La storia che vogliamo raccontarvi ha come protagonisti i pascoli piemontesi dell’Alta Langa, una formaggetta che assomiglia a uno chèvre francese e due svizzeri. È la storia della Robiola di Roccaverano dell’Azienda Agricola Stutz & Pfister e inizia nel secolo scorso, agli inizi degli anni ’90. A quell’epoca Andrea Pfister e la moglie Simone Stutz erano due giovani ventenni di Zurigo con degli studi di agronomia, due figli di 2 e 4 anni e un grande sogno: quello di acquistare una propria fattoria. Poiché in Svizzera i prezzi erano improponibili decisero di cercare altrove e per caso – grazie a un amico che aveva appena acquistato una casa a Mombaldone – trovarono una cascina in stato d’abbandono con 40 ettari di prato attorno. Andrea e Simone non sapevano nulla di robiole all’epoca, ma decisero di cimentarsi con quella che – da secoli – era la produzione tipica della zona: la robiola appunto (o rubiola, come viene pronunciata da quelle parti, per via della colorazione rossastra che acquisisce la crosta in fase di maturazione). Partirono quindi con una trentina di capre e all’inizio andarono per tentativi, sotto lo sguardo incuriosito e perplesso degli abitanti della zona che – come amano raccontare – non avrebbero scommesso due lire su quei due giovani e alternativi svizzeri. E invece, grazie a tanta tenacia, rigore (tratto distintivo svizzero) e duro lavoro, Andrea e Simone sono riusciti a individuare quella giusta combinazione di elementi e quella tecnica di lavorazione del latte che li ha portati a ottenere numerosi importanti riconoscimenti (tra cui la Grolla d’Oro Saint-Vincent nel 2008).
Perché, certo, le 200 capre attuali vivono sicuramente in un ambiente incontaminato che garantisce un’altissima qualità del latte, ma Andrea e Simone non erano abituati ai “capricci” che il latte di capra – a differenza di quello di mucca – può fare in fase di lavorazione e ci sono voluti una decina di anni prima di arrivare agli standard qualitativi elevati e costanti che oggi la loro Robiola di Roccaverano possiede. Il segreto? Una lavorazione caratterizzata da tempi lunghi e da due fasi distinte: il latte della sera viene lasciato acidificare tutta la notte e la mattina mescolato con quello della mungitura mattutina, aggiungendo anche del caglio. Quindi il latte viene lasciato acidificare ancora per diverse ore (si può arrivare a 24 ore) a una temperatura sempre costante. Quando il grado di acidificazione è quello corretto, la cagliata viene estratta a mano in maniera delicata in modo da romperla il meno possibile e messa in forma. Dopo la spurgatura del siero e la salatura la Robiola di Roccaverano può esser consumata fresca, al massimo entro due settimane.
E oggi? Oggi i due “svizzeri” non sono più soli nell’affrontare le fatiche di un’azienda agricola che non concede mai un giorno di ferie: ad affiancarli ci sono i due figli Jerome e Ramon – ora trentenni – la moglie di Jerome e alcuni lavoratori stagionali. Possiamo quindi tirare un sospiro di sollievo, la garanzia della qualità raggiunta dalla Robiola di Roccaverano di Stutz & Pfister è garantita ancora per diversi anni.