Le Asturie e il Cabrales
Il viaggio verso il Cabrales inizia sulla fortuna di un volo Venezia-Oviedo. Ci accoglie un aeroporto uguale a molti altri in una giornata piovosa e grigia. Fortunatamente il programma è di avere una guida, Antonio, che ci raccoglie su un marciapiede scivoloso e sa che non vogliam perdere tempo in inutili check-in alberghieri: dormiremo forse qui a Oviedo questa notte, ma non prima di un piccolo lungo viaggio. Si va subito a Nord, verso la costa e il Golfo di Biscaglia, viene fame e ci si adegua al desiderio di una tappa a Gijon, in un sidreria, ovviamente. Si sta bene, ci si sintonizza subito oltre il ridicolo jet lag al bar de tapas in versione Spagna del Norte: sidro, appunto, e pinxos: la merenda perfetta!
Ora però mancano ancora due ore di viaggio, prima lungo la costa, direzione Bilbao, poi verso sud: ci inoltriamo nel Parco Nazionale dei Picos de Europa, un cuore verde, splendidamente montuoso della regione Castilla y Leon. I Picos de Europa sono un sistema montuoso un po’ discosto dalla Cordigliera Cantabrica, sufficientemente alto e d’impatto visivo da essere così denominato quale primo sguardo di terra visibile per chi un tempo navigava di ritorno dalle Americhe.
Ci si inoltra e si sale lungo una strada tortuosa, ripida, con pochi tornanti. E già si scorgono brevi pascoli e masserie dove vacche dal manto fulvo e rossastro trovano il tempo di osservare curiose le rare automobili che salgono lente verso Sotres, il piccolo centro meta del nostro viaggio. Qui oggi si vive di turismo montano estivo, trekking e biciclette e… Cabrales. È qui che si produce – ma soprattutto si stagiona – l’erborinato più potente d’Europa.
La Queseria Main ha il suo centro produttivo appena fuori dal paese: una bella struttura in legno e laterizio, moderna ed efficiente, perfettamente inserita nel paesaggio montano. Qui si lavora il latte e qui il Cabrales trascorre il suo primo mese di “quarantena”: un periodo anche piuttosto lungo, in cui il formaggio asciuga lentamente in celle modernissime e paradossalmente asettiche. Ma il meglio e il più, viene successivamente. Dietro il caseificio parte un sentiero, appena segnato, percorribile solo a piedi tra erba, muschio e spuntoni di roccia: è questo il percorso che fa il nostro formaggio (a dorso di muli e asini), per raggiungere dopo una mezz’ora di tragitto lo slargo che termina a strapiombo sulla valle da un lato (siamo appena sopra i 1.200 metri slm) e su una formazione rocciosa dall’altro.
Su questa, si apre una porta di ferro, manco a dirlo, arruginita, che conduce, lungo una ripida scalinata, venti metri più sotto, a una grotta. Sia chiaro: non si dica “ambiente di grotta”. Qui la grotta è vera, e antica a giudicare da stalattiti e stalagmiti che la popolano. Ma non è questo che impressiona: è il silenzio umido e gocciolante, la luce rada di lampadina. E quando la pupilla riesce ad adeguarsi, ecco quel che stupisce: non le stalattiti eccetera…, ma pericolanti assi umide per non dir marcite, sospese tra una roccia e un sasso o un mattone, piegate, curvate e forzate dal peso di decine di forme di formaggio. È il Cabrales, certo, siamo qui per questo, vuoi vedere? Ma non sembra, sembra impossibile, sembrano pietre cilindriche, lucide, umide oltremisura, sul punto di sfaldarsi come le assi che le sostengono.
Ed è difficile credere che in questa umidità al 100%, e gocciolante da tutte le parti e scivolosa, un formaggio possa resistere, come esiste, per più di due mesi!!! Ennesimo miracolo caseario, alchimia dell’esperienza e dei fortunati errori dell’uomo. Sta di fatto che solo da qui esce il vero Cabrales: un formaggio che ha resistito e si è forgiato il carattere in un ambiente così difficile, reumatico, dove son stati portati all’estremo gli angeli del buon formaggio: buio, umido, non troppo freddo e tempo.
Usciamo dalla grotta con la mascella ancora pendula. A cosa serve scrivere ancora del Cabrales? Serve raccontare l’esperienza gustativa piccante-elegante? Serve approfondire la tecnica casearia?
Molto di più è utile raccontare che con gli ultimi squarci di luce prima del tramonto Antonio consiglia di fare un giro lungo la valle, col fuoristrada da brivido, per verificare che il latte viene proprio dai Picos, da queste vallette strette, da piccoli allevatori di vacche, ma anche di capre (e non solo perché lo prevede il disciplinare!) Ed ecco allora che quasi all’imbrunire fermiamo l’auto su un piccolo sterrato lungo un torrente impetuoso di fronte a una bassa costruzione di pietre: ci vengono incontro alcune capre, a rivendicare il loro ruolo, minimo ma aromatico, nella produzione del queso Cabrales. È quanto ci basta per benedire la giornata e rivolgere il timone verso Oviedo, dove dormiremo, dove faremo colazione con tortillas il giorno successivo, dove ci ripromettiamo di tornare, perché Oviedo, la capitale delle Asturie, vale da sola un viaggio, un ritorno, almeno un week-end.